Non è un mondo per vecchi

non è un mondo per vecchi

Questo breve saggio di Michel Serres, ottantotto anni, filosofo, conferma il fatto le migliori menti di questo decennio siano ormai querce ottuagenarie. Morin ha novantasei anni ed ha appena pubblicato due saggi, Dorfles e Bauman sono morti da poco lasciando un vuoto incolmabile, Galimberti veleggia verso gli ottanta. Sarà un caso ma anche questo breve testo del pensatore francese impressiona per la lucidà con la quale conduce la sua analisi sull’impatto che le TD, (Tecnologie Digitali), stanno avendo sull’apprendimento dei bambini.

Petite Poucette (l’equivalente francese di Pollicina, nome adottato perché “usa il pollice per consultare il suo smartphone”), incomprensibilmente tradotto da Bollati Boringhieri con il titolo, memore del libro di McCarthy (o del film dei fratelli Coen se preferite), Non è un mondo per vecchi (mentre invece lo è, eccome, e Serres ne è la dimostrazione vivente), inizia con un incipit poderoso: i ragazzi oggi, fin da bambini, sono “formattati dai media, diffusi da adulti che hanno meticolosamente distrutto la loro facoltà di attenzione riducendo la durata delle immagini a sette secondi e il tempo di risposta alle domande a quindici, (…) la parola più ripetuta è “morte” e l’immagine più rappresentata è quella di cadaveri. A partire dai dodici anni, quegli adulti li costringono a vedere più di ventimila omicidi”. Sono ventidue pagine inquietanti, dove il filosofo francese mostra quanto il nostro universo di cittadini nati nel secolo scorso sia ormai irrimediabilmente distante da quello dei ragazzi nati negli anni zero.
La grandezza di questo scritto però, nemmeno ottanta pagine, è la sua capacità concettuale, tutta europea, di esporre un quadro di quanto sta accadendo sorprendentemente positivo, evitando la facile e trita retorica del “ai miei tempi era meglio” e concentrandosi sulla grandezza delle possibilità offerte dalle TD.
Che ragione avrebbe Pollicina di memorizzare tutto lo scibile umano quando può portarlo con se in un aggeggio poco più grande di un pacchetto di sigarette?
Questa possibilità di avere tutta la conoscenza esistente a portata di mouse, anzi di pollice, ha avviato una rivoluzione antropologica, tutt’ora in corso, che ha come caratteristica principale la completa esternalizzazione della memoria umana (che significa, ad esempio, conservare i dati sull’hard disk di un computer), delle sue conoscenze (che ad oggi sono quasi interamente sul web, quindi esterne a noi) e delle sue capacità di calcolo (pensiamo a un processore che risolve calcoli complessi in tempi ultrarapidi rispetto all’uomo), un po’ come predisse Platone a proposito del passaggio dalla memoria orale a scritta, quando si iniziò a fissare su un supporto esterno (papiro, tavoletta di cera o libro) le conoscenze che fino allora venivano memorizzate e tramandate oralmente.
Questo, prosegue Serres, ci porta ad una prima importante considerazione: quello in atto è un processo iniziato migliaia di anni fa, non ancora compiuto e che ha sempre accompagnato la storia dell’umanità.

Oggi però abbiamo davanti una massa enorme di dati, programmi e informazioni, che spesso non riusciamo a controllare, ed è stato così anche in passato, contrariamente a quello che si pensa, anche se era una situazioni di pochi per non dire pochissimi. Serres riporta l’esempio di Leibniz, quando era bibliotecario del Duca di Hannover: egli scrisse che si trovava di fronte a un’impressionante massa di libri sulla quale non aveva controllo. L’uomo infatti ha sempre cercato di gestire la mole crescente delle informazioni: in passato ha imparato a ordinare e classificare, oggi inventa i motori di ricerca. Tuttavia, continua il filosofo, più che dominare l’oceano della cultura, noi possiamo solo provare a navigarlo, cercando di orientarci tra le sue correnti: dobbiamo accettare l’idea che le nuove tecnologie ci mettono a disposizione un immenso mare di cultura in cui dobbiamo tuffarci senza cullarci nell’illusione di controllarlo.
Questa massa d’informazioni ha cambiato la nostra relazione con la conoscenza e il sapere: quando la scrittura ha sostituito la comunicazione orale, si è verificata una rivoluzione cognitiva: provate a immaginare come si è sviluppata l’area cerebrale deputata alla comprensione dei codici scritti, che non esisteva a livello genetico e invece oggi è ben visibile attraverso le tecniche di neuroimmagine. La stessa cosa sta avvenendo con i codici visuali, legati cioè alla visione di immagini (pensate al “cerca immagini” di Google) piuttosto che di codici scritti (il libro, in definitiva).
Questa “rivoluzione cognitiva”, tutt’ora in formazione, sembra più orientata verso modalità intuitive e pragmatiche. Cosa significa? Significa che se in passato il sapere era dominato dall’astrazione (Platone ha inventato l’idea di Cerchio per dominare la totalità degli oggetti rotondi), in pratica dalla potenza del ragionamento astratto (pensiamo a tutto lo scibile filosofico), oggi è dominata dagli algoritmi, che sono “ogni schema o procedimento sistematico che preveda un calcolo numerico”, quindi tutto ciò che è automatizzato. Il mondo intero, in definitiva.
In questo modo poco a poco si è formata una cultura meno analitica, meno votata al ragionamento astratto, più sintetica (che evita cioè “le grandi narrazioni”) e concreta (basata sulle sole immagini, ancora meglio se senza testo), il che implica il superamento di una certa filosofia tradizionale: tutto il pensiero umano fino al 2007, anno in cui Facebook è diventato quello che conosciamo ed è esploso definitivamente il web a livello globale, un web non più solo di lettura ma anche di caricamento dati da parte dell’utente.
È un bene o un male? Davvero non siamo in grado di dirlo ora, siamo solo agli inizi di eventi che, se ci sembravano impossibili soltanto un anno fa, ora sono reali.
Vi sono quindi anche tante positività. Ad esempio grazie alla connessione degli uni agli altri, il collettivo umano diventa cosciente delle proprie conoscenze, meno cieco a se stesso. Non è ancora l’intelligenza collettiva, ma certo un progresso in tale direzione, le rivoluzioni arabe del 2014 stanno a dimostralo. D’altronde l’uso dello smartphone, di Facebook e di WhatsApp non ha dato il via al più grande processo di alfabetizzazione mondiale? Non ha obbligato a scrivere decine di milioni di persone che diversamente non lo avrebbero mai fatto? Il web ti obbliga a interagire, non è la televisione che richiede uno spettatore passivo: in una pagina web se non agisci non succede nulla!

Anche la tradizionale trasmissione del sapere dell’insegnante al bambino è rimessa in discussione, in quanto oggi non si può più presupporre l’incompetenza di quest’ultimo: bambini di pochi anni possono avere moltissime informazioni che spesso chi insegna non ha! E ancor meno i genitori!
Questo rappresenta la fine di una certa pedagogia “unidirezionale”, anche se non significa la fine dell’insegnamento classico: l’informazione non è la conoscenza. Il maestro, il filosofo, l’insegnante è colui o colei che aiuta a trasformare l’informazione in conoscenza. Il bambino, l’allievo, Pollicina, ha ancora bisogno di qualcuno che l’aiuti ad operare questo passaggio anzi, contrariamente a quello che può sembrare, mai come ora è necessaria questa figura.

Michel Serres, Non è un mondo per vecchi, Bollati Boringhieri

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