Aldo Manfredi

AVATAR – LA VIA DELL’ACQUA

Premesso che stanno radendo al suolo l’Ucraina e me ne vado tranquillamente al cinema con mio figlio a vedere Avatar 2 vabbè, non ho capito bene in che modo ma c’è qualcosa di perverso in questa cosa…
Veniamo al film di Cameron, che non so che senso avrà vedere senza la profondità di campo del 3D, tecnologia e linguaggio che danno il meglio di sé nelle tante scene sui fondali marini, giù nel profondo, come fu per Abyss, memorabile pellicola del regista canadese (ma stanziato in Nuova Zelanda, dove il fim è girato), una sorta di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo ‘underwater’…
Anche qui ci sono incontri magici che non vi sveleremo ma, almeno questo va detto, alcune sequenze – se usate gli occhi e non l’udito – rivelano senza dubbio chi sarà il prossimo Eletto, rivelazione anticipata da alcuni tocchi molto evocativi… Ma sarà un maschietto o una femminuccia? Che sia nata un nuova guerriera cameroniana? Potrebbe in effetti perché il personaggio di Kiri, colei che ‘vede’ ed è in contatto con Eywa, lo spirito di Pandora, si gioca una ventina di minuti su tre ore e rotti ma lascia il segno… e qui mi fermo perché narrato in questo modo si banalizza, sembra un anello o un elfo un unicorno qualsiasi mentre qui si parla di inclusione ed esclusione dei diversi, di popoli annientati da militari ottusi, di lutti e perdite e, il fatto che abbiano la pelle azzurra o verde cambia poco, le storie sono sempre quattro, in questo caso un re deve abbandonare il suo regno e combattere per riconquistarlo: riuscirà o morirà per lasciare il posto ad un nuovo Eletto, come da tradizione millenaria del Mito? Potrebbe essere la sinossi dei prossimi episodi, vedremo…
Purtroppo alcune ripetizioni, temo inevitabili visto che parliamo di un sequel, rendono il film abbastanza prevedibile, ma è tutto talmente emozionante che non ti rovinano la visione…
Le scene finali del Grande Lutto, dove anche i colori tribali sulla pelle dei protagonisti sembrano piangere assieme a loro, sono di toccante bellezza e la famiglia, il mestiere del padre, il dolore della crescita in un giovane che s’affaccia alla vita, alla presa di coscienza della transitorietà dell’esistenza, rendono questo film universale, che sarà visto in tutti i continenti, come è stato il Mondiale che si sta concludendo, altro residuo mitico di una società che ha il suo apogeo alle spalle…
A questo punto, data la premessa, verrebbe da chiedersi, perché ci commoviamo solo davanti a uno schermo?

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