Invidia e sentimento in Megamind

megamind

 

La contemporanea impressione di leggerezza e profondità che si prova guardando Megamind, film d’animazione del 2010 diretto da Tom McGrath (autore dello splendido Baby Boss), è frutto della facilità con la quale riesce a parlare di sentimenti in modo semplice e diretto, attraverso un’irresistibile storia che ha tutti i canoni della fiaba classica ma che, continuamente, rinnova il suo linguaggio. Di quale sentimento parliamo? Dell’invidia, il più punito ma allo stesso tempo il più legittimo espresso dalla tavolozza emozionale del bambino, con ascendenti nobili (buona parte dell’opera di Shakespeare, senza timore di esagerare) e meno nobili (l’universo Marvel, ad esempio, ne ha fatto il suo tratto costitutivo).
Mandati sulla terra dalle rispettive famiglie per mezzo di navicelle spaziali tanto diverse che la dicono lunga sul futuro dei due personaggi, Megamind e Metro Man, apparentemente Hero & Villain, non potrebbero essere meno simili di così: calvo, brutto e sgraziato, con la pelle blu il primo; bello, atletico, con aura WASP e dotato di superpoteri il secondo.

Come spesso accade però per entrambi c’è una nemesi: Megamind – magnificamente doppiato da Roberto Pedicini, voce italiana di Jim Carrey – ha un’intelligenza, un’arguzia e una dialettica che “forano”, Metro Man è invece un tontolone buono e ricco, con un carisma nemmeno lontanamente paragonabile al fascino del primo.

Megamind, surclassato dal suo antagonista coi compagni a scuola, negli affetti con la maestra, con le ragazze, con gli abitanti di Metro City, sviluppa un’invidia forsennata che porterà alla morte, di nuovo apparente, di Metro Men, chiamato con dispregio da Megamind “Il Perfettino”.

Ci ritroviamo spesso, durante la visione, a pensare all’invidia provata da piccoli nei confronti del migliore della classe, migliore negli sport e, di conseguenza, oggetto del desiderio delle ragazze più carine. “Il Perfettino” catalizza tutto ciò che non siamo, ci fa covare rancori che sfociano nell’odio ma che, nonostante tutto, ci sembra necessario provare: per migliorarci, per crescere, per ridurre il nostro ego?

Non lo sappiamo, ma sappiamo che, parafrasando Flaubert, Megamind “siamo noi”, imperfetti, invidiosi, che prendiamo brutti voti, che siamo poco considerati ma, alla fine, inaspettatamente dopo tanta fatica, ci viene restituito il maltolto. Megamind penserà di aver ucciso il suo rivale per poi provare, poco dopo, una lacerante nostalgia: chi solleciterà i suoi scontri, chi gli terrà testa, chi gli permetterà di sfoggiare le sue fantastiche “entrate in scena”?

Solo l’amore di una bella lo obbligherà a migliorarsi, amore ottenuto attraverso il più antico dei canoni proppiani (pensiamo a La Bella e la Bestia, La Sirenetta, La Strega di Biancaneve, Il Lupo e i Sette Capretti ad esempio): la trasformazione “a tempo” da mostro bluastro in Bernard, un attraente radical chic annoiato e bibliofilo, biondo e capelluto, seguita da un altro canone, la creazione di un cattivo sostitutivo che, neanche a farlo apposta, sfuggirà al suo controllo.

Alla fine tutto torna: il cattivo sarà sistemato, Megamind resterà brutto ma sarà riamato dalla donna desiderata, Metro Man in realtà si scoprirà vivo e vegeto… e noi? Noi, con i più piccini, capiremo che l’invidia è un sentimento brutto ma, inevitabilmente, legittimo e forse, proprio a causa di questa inevitabilità, è utile per la crescita.

Capiremo che non dovremo sentirci in colpa né tantomeno sgridare i bambini che la provano ma sublimarla verso attività legittime. Capiremo che bene e male (male relativo ovviamente) sono entrambi necessari, che senza l’uno non esiste l’altro e che riuscire a relativizzarli è anch’esso un grande esercizio per la crescita: forse mamma e papà sono solo buoni o solo cattivi?
Tutto questo in un semplice film? Certo, miracoli della Settima Arte!